CORPI, VOLTI E STORIE OFF LIMITS
E’ molto difficile raccontare la disabilità senza retorica.
La sfida più grande resta quella di superare il topos narrativo (e la chiave interpretativa) della rivalsa e del buonismo: anche al cinema i cliché si sprecano e le storie raccontate sono spesso vincolate a un pattern visto e stravisto di storytelling.
Il protagonista/eroe vive la propria disabilità sempre in cerca del beneamato riscatto e il suo viaggio diventa inevitabilmente un superamento di prove, nonostante i limiti fisici (o psichici) di una situazione di svantaggio e in vista di una vittoria finale resa ancor più incisiva dalla presenza degli stessi limiti iniziali.
Se da un lato questo modello narrativo di rappresentazione della disabilità appare giustificato e calzante in seno a una volontà di realismo (le storie di difficoltà possono essere oggettivamente complicate) e al contempo frutto della potenza insita nel racconto del drammatico, dall’altro lato può rivelarsi senza dubbio più interessante spostare il punto di focalizzazione delle storie stesse.
In altri termini raccontare le persone con i loro limiti, sfidare l’estetica del “nonostante” la disabilità e lasciare che i protagonisti si raccontino, attraverso la forza delle immagini filmiche, mettendo (inevitabilmente) in scena anche le loro mille difficoltà, quotidiane o straordinarie che siano e dando voce a corpi e volti che – una volta scesi dal piedistallo del patetismo e della facile roboante inspirazione – semplicemente provano ad essere liberi.
Liberi di natura, nonché affrancati dalle etichettature sociali, proprio come i volti e i corpi protagonisti di molti cortometraggi in Concorso alla settima edizione del MalatestaShort Film Festival che spesso hanno fatto delle proprie disabilità fisiche e mentali un vero e proprio strumento per andare oltre i propri limiti.
Lo ha fatto Divynashu Ganatra, il protagonista del documentario I run into chairs. E’ stato il primo cieco indiano a prendere da solo un aereo e a diventare un pilota. Nel 2016 ha pedalato in tandem lungo la pista più alta del mondo e nel 2018 ha scalato il Kilimangiaro. Ma paradossalmente – a dispetto dell’eccezionalità di tutte queste grandi sfide che sembrerebbero proprio, inanellate e mostrate una in fila all’altra, celebrare, ancora una volta, il mito della rivalsa sociale – il superamento dei limiti fisici lo ha portato (oltre che in cima al mondo) soprattutto dove forse non si sarebbe mai aspettato. Lo senti parlare e capisci davvero che superare il limite per lui ha significato non avvertire più alcun limite nella sua testa finalmente libera. Non a caso oggi ammette che una volta il suo mondo è cambiato inaspettatamente a 19 anni svegliandosi cieco, ma oggi a 43 anni si chiede che bisogno c’è di riavere un paio d’occhi. Il suo vero limite è stato – glaucoma a parte – l’inevitabile stigma sociale che lo vedeva stereotipato ad intrecciare cesti di giunco o chiuso in casa a costruire mobili di canna. Ecco perché il suo corpo ha scelto l’avventura come stile di vita in risposta a una stasi codificata, acquisendo una disinvoltura con sé stesso e con la propria cecità che appare meravigliosamente disarmante.
Ha sfidato i propri limiti anche il (piccolo) e prezioso corpo del brasiliano Chico, la cui storia è raccontata in Big Bang. Dal basso dei suoi pochi centimetri in altezza, sceglie di vivere e di guadagnarsi da vivere con un mestiere reso possibile proprio grazie al suo difetto di statura. La sua forza sta tutta nel cercare di resistere – tra soluzioni creative nella vita di tutti i giorni e vitalità – ad un sistema che lo vorrebbe socialmente ai margini e a cui lui risponde con una consapevole (seppur a tratti sofferta) ricerca di sé. Saranno gli altri allora, se davvero sinceri, a schivare il limite e ad abbassarsi per avvicinarsi a lui.
La cecità è ancora una volta il limite fisico su cui è incentrato il documentario Dream of glass: cercherà di superarlo Manuele, un ragazzo non vedente che intraprende un viaggio alla scoperta dell’isola di Ventotene e che, grazie all’esperienza suggestiva di un laboratorio sensoriale svolto tra le classi di una scuola dell’isola, entrerà in contatto con un gruppo di ragazzi aiutandoli nella sensibilizzazione nei confronti della perdita della vista attraverso il gioco e l’immedesimazione ludica. Se tuttavia da un lato in questo caso il superamento di un limite fisico sembra potersi compiere con la conoscenza e con la voglia di “mettersi nei panni dell’altro”, d’altro canto appare utopico e poco realistico ogni sincero tentativo d’identificazione (siamo sicuri che è davvero possibile capire a fondo la sensorialità di una persona non vedente per chi non ha un difetto di vista?). Ecco allora che il limite di Manuele diventa sinceramente anche altro: l’esplorazione delle onde e della natura selvaggia lo condurranno così a riconoscersi nella sincerità che contraddistingue la dimensione sociale di una piccola comunità di mare autentica e lontana anni luce dal pietismo facile.
Un corpo fisicamente imperfetto, quasi ripiegato su sé stesso, muto ed immobile è sorvegliato ed accudito dal corpo forte, scapigliato e sfiancato, avvolto da variopinte vestaglie casalinghe del fratello care giver: sono i due protagonisti del corto drammatico Soluzione fisiologica, nonché la messa in scena e il racconto di un vero e proprio atto d’amore incondizionato. Superare i propri limiti diventa una lotta per la sopravvivenza quotidiana, che invade e pervade tutti gli spazi possibili: il corpo fisico, fagocitato da una spasticità dolorosa e condannato alla stasi perenne, l’universo mentale bloccato in un avulso eterno presente della disabilità psichica ed intellettiva, ed infine (ma soprattutto) lo spazio emotivo, non privo di pulsioni fisiologiche e carnali, ma al contempo alienato e distaccato. Superare tutto questo diventa possibile solo attraverso un mezzo potente come l’amore fraterno, talvolta folle come solo certi affetti assoluti e pieni possono diventare.
I corpi di tre donne temprati e trasformati rispettivamente dallo skateboard, dal surf e dal jiujitsu sono al centro del racconto di Sobre elas, tre storie femminili di scelte esistenziali radicali: spingersi oltre, stravolgere tutto quello che una tradizione di genere aveva previsto per le proprie strade passa anche attraverso una liberazione dei corpi. Il superamento dei ruoli sociali (da mogli a madri e lavoratrici), di certo avvertiti come limitanti diventa una vera e propria dichiarazione d’intenti. Tre corpi si fanno così un corpo unico, un unicum femminile corale che va oltre la singolarità celebrando alleanze e sostegno reciproco in nome di una liberazione muliebre collettiva.
Vuole superare di certo (e spasmodicamente, come solo l’adolescenza riesce a far credere possibile) i limiti del proprio corpo maschile, Thomas che si sente femmina e che vaga in cerca di sé stesso/a tra l’asfalto e i palazzoni anonimi della periferia di Milano, la cui giovane ed incerta fisicità si ancora curiosa – e in divenire – alla macchina da presa nel cortometraggio sull’identità di genere Paramore.
Supera infine i limiti di un’esistenza fisica e terrena il protagonista di Resurrection under the Ocean, storia quasi metafisica dove il corpo si disperde in una profonda caduta nell’oceano. La resurrezione simbolica è quella di uomo che – dopo la propria morte- può abbracciare, non senza sofferenza, la possibilità di una rinascita. Il suo diventa davvero un viaggio off limits che, a partire dal richiamo della balena (quale emblema della vitalità), lo riporterà dalle acque in superficie e rappresenterà una seconda possibilità, trasfigurando quasi, a mo’ di emblema – la storia un uomo in difficoltà e indifeso, in tante storie, diverse ma simili.
Tutti questi viaggi sono allora accomunati (volti, corpi e storie) da esperienze singolari, potenti non tanto per le difficoltà incontrate lungo un pezzo di strada, quanto per la forza di opporsi – in tanti modi diversi, creativi, dolorosi, a volte originali – alle sentenze edificanti (a suon di “la tua vita è finita”) spesso tuonate dalla società stessa che fabbrica limiti, mossa dall’impulso endemico di categorizzare tutto e tutti.
Spesso non basta raccontare la disabilità per sensibilizzare: una sensibilizzazione autentica ha bisogno di una riformulazione delle focalizzazioni del racconto che sposti l’attenzione dalla enfatizzazione delle differenze al superamento delle stesse, trasformando così i racconti dei limiti e delle difficoltà, in racconti umani, tra difficoltà e limiti, che qualche volta vengono superati, Una scelta questa che non significa negare l’ovvio (il rispetto per la verità del racconto vuol dire non nebulizzare i dolori, gli inciampi, le cadute, la marginalizzazione), ma che certo permette di non ridurre universi al racconto di un problema.
Molto spesso, come abbiamo visto, sono le barriere attitudinali e sociali ad isolare più di ogni altra cosa. La vera rivoluzione consiste nel recuperare (liberandole) le persone e i loro variegati, complicati ed affascinanti mondi.
I FILM
Dream of glass, di Andrea Bancone, 2022, Italia
I Run Into Chairs, di Barnali Ray Shukla, 2023, India
Paramore, di Andrea Lamedica, Francesco Mastroleo, 2023, Italia
Soluzione fisiologica, di Luca Maria Piccolo, 2023, Italia
Sobre elas, di Bruna Arcangelo, 2022, Brasile
Big Bang, di Carlos Segundo, 2022, Francia-Brasile
Resurrection under the Ocean, di Serkan Aktaş, 2021, Turchia