LA GIOIA DI SPERIMENTARE (TRA CORPI CHE DANZANO E PERFORMER CHE CANTANO)

 Nel sottobosco del cinema sperimentale breve c’è davvero di tutto: suggestioni per immagini, commistioni di linguaggi, patchwork ed intrecci trans-mediali.

Il cinema sperimentale e la declinazione musicale performativa scelta, si addicono in modo particolarmente calzante all’approccio ai film incentrato sulla libertà di pensiero tanto perseguito quest’anno (cinema libre è il sottotitolo di questa edizione), alla ricerca di film maker internazionali mossi dall’urgenza di raccontare senza eccessivi vincoli e condizionamenti. La libertà creativa nelle idee e nella prassi filmica trova nelle opere sperimentali uno scenario “terra di nessuno” in cui convivono proposte difformi e un po’ azzardate. Non a caso la connotazione “libre” rimanda a una idea di cinema libero e spregiudicato, proteso verso strade poco battute e dalla vocazione audace, coraggiosa e senz’altro vivace. Tante le storie – nel caleidoscopio delle proposte del Festival atte alla scoperta – tanti gli stili, tanti i modelli spettatoriali e produttivi.

Ci sono racconti del privato, storie di famiglia che tentano di aprirsi al mondo, come Still life with woman, Tea and Letter e A Family Portrait. Il primo, un’animazione in stop motion, è una vera e propria finestra sul passato, proprio come lo è una fotografia, anche se il confine passato/presente non sempre è così netto. Opera omaggio al cinema capace di creare illusioni temporali, questo riuscito ritratto femminile ispirato alla madre del regista, storica dell’arte ed appassionata di nature morte, è una sorta di invito a (ri)pensare il rapporto con il tempo. Il secondo è un’opera indipendente e fotografica, che si approccia con uno sguardo quasi intimo al materiale d’archivio. Ricordi (di chi ora è lontano), tra volti e strade percorse. Una città che fa del suo meglio, proprio come questo lavoro, pedinando angoli, scegliendo dettagli non casuali e rievocando lontane memorie. Incentrato sulla reminiscenza di un passato atavico e condiviso è anche l’originale Flow of life che, in senso ancor più universale, riflette– tramite incisioni immagine per immagine fatte su una pellicola 35 mm ricoperta di foglia d’oro – sulle origini della vita dell’uomo e degli animali su questa terra. Il risultato è un esperimento affascinante e poetico sulla natura corale di ogni relazione (in primis quella, inaspettata, tra l’uomo e il cavallo), che celebra, ragionando sugli albori della storia, anche la minuzia della tecnica e il ritmo incalzante altrettanto inaspettato per una ricostruzione (forse antiteticamente) ancestrale.

Ritroviamo gli animali quale spunto tematico anche al centro di diverse ulteriori proposte in Concorso: c’è il volatile protagonista del volo pindarico di Night for the last one (opera-installazione che insegue il librare notturno di un paio d’ali fino al misterioso epilogo, che celebra sapientemente l’estetica dello split screen in una poetica ricognizione dalla fotografia ordinata e dal bianco e nero quasi noir) e c’è l’uccello predatore che si avventura a caccia di grilli in Nature attack in una impresa più complicata del previsto. Quest’ultima è una favola ecologica intrisa di realismo (tra insetti, piante, folta boscaglia e altri animali, quasi a percepire e a “toccare” visivamente” la foresta) e al contempo caratterizzata da una ferrea volontà di rappresentazione con una solida messa in scena, capace di riecheggiare in senso metaforico a ogni conflitto o guerra. Ci sono infine gli animali selvaggi che popolano l’onirica sfilata di The peacable kingdom, invadendo gli spazi architettonici e domestici solitamente destinati all’uomo con assoluta disinvoltura. Così, in quest’ultimo lavoro, giraffe, elefanti, maiali, mucche, rinoceronti, asini e capre danno vita a creative intersezioni tra sculture, virtuali, fisiche e “renderizzate”, riflettendo, tra suggestive animazioni ed effetti video, sull’antitesi “predatori/prede” grazie alla manipolazione artistica e digitale. Gli effetti della rivoluzione digitale e il suo profetizzato ed inesorabile declino costituiscono l’input anche di Skinned, che prende le mosse ipotizzando proprio che un terribile virus colpisca improvvisamente Internet. Gli umani si ritrovano così fra le macerie di un mondo virtuale, quale agognato simulacro del reale: cosa accadrà a chi rimane nel dover fare i conti con questa nuova pelle post digitale? Cinque donne riflettono, mentre i ricordi personali pesano, tra elucubrazioni “social” e non e pensieri filosofici addolorati e increduli.

La riflessione sulla natura del mezzo e del linguaggio cinematografico è un leitmotiv che caratterizza molti cortometraggi. In Light Leak ci si interroga su ottica e memoria (la luce informa ed è un segnale più duraturo del ricordo): un osservatore solitario, che vive rinchiuso in un appartamento vuoto, studia e guarda il mondo esterno (che diventa sempre più irreale ed irraggiungibile) attraverso diapositive, strani sistemi di illuminazione un po’ arcaici e puntine luminose della camera oscura che strisciano lungo la parete. L’esito finale è un piccolo saggio sul tempo e sul ricordo che possono perdere significato, con sprazzi meta-cinematografici (la stanza chiusa diventa così l’ennesimo luogo di proiezione “interno/esterno” di immagini e di luce) e con rimandi all’immaginario di fantascienza. La tela di Penelope è un’opera sinestetica ambientata all’interno di un lanificio in cui suono, colore e movimento convergono in un flusso dinamico emozionale alla stregua di una partitura musicale. Le analogie con la musica si sprecano: da un lato il ritmo generato dal movimento delle macchine al lavoro riecheggia quello degli strumenti musicali coinvolti a concertare assieme in una sinfonia, dall’altro le immagini in movimento della fabbrica in azione definiscono la produzione attraverso le stesse tracce visive fotogramma per fotogramma proprio come accade nella musica che si (auto) rappresenta anche mediante i segni grafici su un pentagramma.  Il rapporto con le altre arti è infine al centro del documentario Pes’re (realizzato per la candidatura di Pesaro a Capitale della Cultura nel 2024) che mostra il legame profondo degli artisti pesaresi Ben Zeno, Giuliano Del Sorbo e Mattia Tommasoli con il territorio cittadino; così come caratterizza The lovers of Avignon, traduzione per immagini filmiche del cubismo pittorico. Un quadro celeberrimo diventa in questo caso una sequenza reale di quadri (frames) in movimento, nonché una allegoria del cubismo quale simbolo concettuale che funge da filtro e da muro di emozioni. In nome della contaminazione (e del travaso) tra diversi linguaggi artistici è stata pensata e realizzata anche la videopoesia Thirteen ways of looking at a blackbird, tratta dall’omonimo componimento in versi di Steven; adattamento fantasioso sulla potenza delle parole, dove quest’ultime – mediante intime evocazioni della natura realizzate grazie alla combinazione tra immagini del reale, inserti animati e disegni – si fanno sceneggiatura senza tuttavia mai cadere nel didascalico.

 “Il cinema è più vicino alla musica che alla pittura, perché è fatto non di immagini, ma di inquadrature dove dentro scorre il tempo, come nella musica.” Cit. Eric Rohmer

“Danzavano come quella coppia di generici che il regista mette nel fondo della sala, sotto un arco, per dare l’aria di una festa intima, ma già preda di una noia mondana, che si nutre di sé stessa nelle immagini più comuni e imitate.” Cit. Ennio Flaiano

“Prima balla. Poi pensa, è l’ordine naturale.” Cit. Samuel Beckett

 Se fare cinema “libre” significa sfuggire alle regole, piegandole al proprio estro artistico mentre sperimentare vuol dire esplorare e valorizzare tematiche o condizioni dell’essere umano legate alle diversità insite nella società contemporanea, dare spazio ai film musicali, alla video danza e ai videoclip si traduce allora in una scelta coerente e vivida, orientata verso linguaggi di ibridazione (musica, video e corporeità) esuberanti, dinamici e talvolta un po’ intrepidi.

Fra gli spunti tematici ricorrenti in questi lavori in Concorso spicca senza dubbio il legame con il corpo, rappresentato al cinema nelle sue infinite declinazioni: il corpo fisico in movimento attraverso la danza mostrato quale veicolo di significati e il corpo dell’artista (cantante, danzatore o performer) in presenza (o in absentia) a legittimare l’opera filmica che diventa performance.  Absent presence è un viaggio surreale di un corpo sconnesso che cerca disperatamente di ritrovarsi tra gli spazi di una casa vuota. Un gioco di percezioni tra riflessi e ombre distorte che porta a interrogarci su ciò che è davvero reale. For the skeptical è un esperimento video ibrido e militante; un espressivo patchwork che da un lato mescola molto bene linguaggi diversi (teatro, musica hip-hop e frames di filmini di archivio), dall’altro stimola volutamente il pensiero critico ragionato (post Covid e complottismi di ogni sorta) sulla disinformazione collettiva, auspicando reazioni da parte di tante menti e corpi (attraverso azioni e cambiamenti sottesi) pensanti e finalmente consapevoli. Il protagonista di Resurrection under the Ocean supera invece i limiti dell’esistenza terrena: il suo corpo si disperde in una profonda caduta oceanica e la sua resurrezione simbolica è quella di un uomo a cui viene data la possibilità di salvarsi e di rinascere. Il ritorno alla vita di un corpo indifeso, in un film musicale e squisitamente coreografico dalla perfetta armonia tra suono e immagine, rende quasi universale la portata del racconto, trasformando la sua storia in tante storie diverse, ma al contempo tutte off limits.

La danza è la protagonista indiscussa di De-escatology che mette in scena la rappresentazione fisica della claustrofobia collettiva post Covid 19 e del desiderio di liberazione conseguente attraverso i movimenti dei corpi imballati, incellofanati e scattosi che enfatizzano il tatto, riscoprendo spazi preziosi dopo la sofferta mancanza di contatti. Il corto è una performance liberatoria che esplora, una movenza dopo l’altra, la graduale riduzione dell’obbligo alla stasi e i suoi effetti psicologici. Anche Malamore è una danza, una sorta di passo a due sull’incapacità di vedere sé stessi e l’altro, fino a perdersi: è un ballo pseudo-sinestetico di specchi, di corpi e di distorsioni, che racconta quando l’amore diventa trappola, con le inquadrature che seguono efficacemente il ritmo della musica. Particolarmente riuscito l’epilogo che, alla stregua dei movimenti congiunti dei due corpi avvinti l’uno all’altro, si fa ben più incalzante. Persino Move è un film di danza vero e proprio, che gioca con il tempo, con le forme e con il movimento: i suoi colori e le sue tonalità riecheggiano l’arte di Mirò. Opera singolare, che si (auto)genera e riflette, attraverso guizzi dinamico-cromatici e corpi disegnati con tratti stilizzati, sull’essenza tout court del movimento.

Tre sono infine i videoclip in Concorso: Le grand murmure, Spokelsesby e Tulipomania. You had to be there. Il primo, Le grand murmure, è un video musicale della cantante francese Jeanne Laforest dalla location sacra (una chiesa invasa da candele), dal ritmo ipnotico e da un’inquietante atmosfera gotica. Il nero domina (siamo immersi in un buio interrotto solo da spot di luci disseminate sullo sfondo volutamente fuori fuoco), guidando tuttavia le rabdomanti movenze dell’artista, nonché il suo corpo solo apparentemente incerto. Spokelsesby è il video musicale del singolo (dal titolo identico) del norvegese Hasse Farmen incentrato sulla dicotomia tra la solitudine di oggi e le connessioni conclamate dai corpi distanti ma vicini tipiche della società delle immagini e della comunicazione mediata. A proposito del lavoro musicale Tulipomania. You had to be there – primo videoclip del nuovo album dei Tulipomania in uscita dal titolo Dreaming of sleep – dobbiamo chiederci cosa accade se in una espressione artistica osservatore ed osservato si scambiano di posto e di ruolo. La risposta a questo interrogativo meta-testuale si cela in un’animazione originale, creata fotogramma per fotogramma che include la sincronizzazione labiale (con i corpi cantanti rigorosamente in absentia, ad eccezion fatta, forse, a mo’ di sineddoche, di alcuni stralci, stropicciati ed incerti di primissimi piani di corpi). I filmati dall’estetica vintage e la ricostruzione di immagini e parole attraverso migliaia di fogli di carta bianca o nera possono senz’altro aiutare fan e spettatori nel provare ad azzardare una risposta.

 

I FILM

Experimental and art film

 A family portrait, di Shubham Sharma, 2022, Germania/ India

 Flow of life,di Solweig von Kleist, 2022, Francia

 La tela di Penelope, di Marco De Biasi, 2022, Italia

 Light Leak, di Nate Dorr, 2021, Stati Uniti

 Nature attack, di Erik Sémashkin, 2023, Ucraina/Francia

Night for a lost one, di Nenad Obrad Nedeljkov, 2023, Serbia

 Pes’re, di Elia Mazzini, 2022, Italia

 Skinned, di Mike Hoolboom, 2020, Canada

 Still Life with Woman, Tea and Letter, di Tess Martin, 2022, Olanda

 The lovers of Avignon, di Manuel Fernández Ferro, 2023, Spagna

 The Peaceable Kingdom, di Brit Bunkley, 2023, Nuova Zelanda/ Spagna

 Thirteen Ways of Looking at a Blackbird, di Pamela Falkenberg, Jack Cochran, 2020, Stati Uniti

Music Dance and Performing Arts

 Absent presence, di Giorgia Ponticello, 2023, Italia

 De-Eschatology, di Charly Santagado, Eriel Santagado, 2020, Stati Uniti

 For the skeptical, di Dawn Westlake, 2022, Stati Uniti

 Le grand murmure, di Antony Boudreau Savoie, 2023, Canada

 Malamore, di Pierluigi Braca, 2022, Italia

 Move, di Bernardo Alevato, 2023, Brasile

 Resurrection under the Ocean, di Serkan Aktaş, 2021, Turchia

 Spokelsesby, di Gianmarco Donaggio, 2023, Norvegia/Italia

 Tulipomania:you had to be there, di Cheryl Gelover, Tom Murray, 2022, Stati Uniti